La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24823 del 9 dicembre 2015, ha finalmente chiarito la controversa questione sull’obbligo del contraddittorio tra Fisco e Contribuente specificando in quali casi esso, in caso di omissione, causa la nullità dei conseguenti atti esecutivi e/o cautelativi.
“L’ordinanza di rimessione da atto del fatto che – in presenza di una pressoché univoca giurisprudenza della sezione tributaria in senso contrario – contenuti di Cass. ss.uu. 19667/14 (e della gemella 19668/14), evocano, ancorché decidendo in merito ad atto dotato di spiccata peculiarità (iscrizione ipotecaria D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 77), l’esistenza di principio generale, immanente all’ordinamento anche per derivazione comunitaria, che impone l’osservanza del contraddittorio endoprocedimentale in rapporto a qualsiasi atto dell’Amministrazione fiscale lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente, indipendentemente dal fatto che la necessità del contraddittorio sia specificamente sancita da norma positiva”.
La legislazione nazionale ha previsto specifiche tutele avverso gli atti lesivi della sfera giuridica del contribuente (legge 241/1990 e legge 212/2000). Tuttavia non sono mancati contrasti interpretativi e giurisprudenziali composti con la sentenza Cass., ss.uu., 18184/13 la quale ha sancito che “la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni (dal rilascio di copia del p.v.c. di chiusura delle operazioni) per l’emanazione dell’avviso di accertamento determina, di per sé, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, salva la ricorrenza, da comprovarsi dall’Ufficio, di oggettive specifiche ragioni d’urgenza. Disattendendo la contrapposta opzione di considerare l’inosservanza del contraddittorio in rassegna alla stregua di mera irregolarità sostanzialmente priva di conseguenze sull’atto (cfr. Cass. 16092/12, 21103/11, 19875/08), a tale conclusione la decisione è approdata, rilevando che la sanzione dell’invalidità dell’atto conclusivo del procedimento adottato senza l’osservanza delle prescrizioni sancite dalla disposizione, pur non espressamente prevista, scaturisce ineludibilmente dalla circostanza che la violazione procedimentale si risolve in un’intollerabile deviazione dal modello normativo perentoriamente prescritto (“2’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine”). Modello normativo, che – sotto la rubrica “Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali” ed introiettando, con riguardo all’ambito di applicazione di riferimento, principi (di collaborazione e buona fede nei rapporti tra amministrazione e contribuente) di derivazione costituzionale e comunitaria – configura il contraddittorio endoprocedimentale, nelle verifiche considerate, quale indispensabile strumento di tutela del contribuente e di garanzia del migliore esercizio della potestà impositiva anche nell’interesse dell’Amministrazione.
Coerentemente, la decisione (replicata, nella sostanza, da Cass. 15311/14, con riferimento alla cartella D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 ter, non preceduta dalla comunicazione di cui al comma 4, dell’articolo medesimo) – pur non occupatasi criticamente della definizione dell’ambito di applicazione della disposizione, in quanto non investita del tema – ha specificamente curato, nel formulare il principio di diritto affermato, di circoscriverlo, in termini espliciti, alle ipotesi di “accesso”, “ispezione” o “verifica” nei “locali destinati all’esercizio dell’attività” del contribuente.”
La Corte, con la citata sentenza 24823/2015, ha sancito il seguente principio di diritto: “Differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto“.
Alla luce di quanto esposto si deduce che per i tributi non armonizzati la legge italiana prevede il contraddittorio preventivo obbligatorio nei casi specificati di seguito:
accertamenti conseguenti a una verifica presso la sede del contribuente, il cui contraddittorio preventivo è disciplinato dall’articolo 12 comma 7 dello Statuto dei diritti del contribuente;
accertamenti standardizzati (parametri) previsti dagli articoli 3, comma 185 della legge 549/1995 e 10, comma 3 bis della legge 146/1998;
liquidazioni delle imposte in base alla dichiarazione, il cui contraddittorio è previsto dagli articoli 36 bis del dpr 600/1973 e 54 bis comma 3 del dpr 633/1972, oltre che dall’articolo 6 comma 5 dello Statuto dei diritti del contribuente;
liquidazione scaturita dal controllo formale previsto dall’articolo 36 ter del dpr 600/1973;
accertamenti sintetici, ex articolo 38 del dpr 600/1973;
recuperi a tassazione di deduzioni di costi afferenti operazioni intercorse con imprese con sede in Paesi black list, secondo l’articolo 110 comma 11 del TUIR;
accertamenti sull’abuso del diritto in generale, di cui all’articolo 10 bis dello Statuto dei diritti del contribuente;
pretese in materia doganale, di cui all’articolo 11 comma 4 bis del Decreto Legislativo numero 374/1990.