Il nuovo orientamento giurisprudenziale seguito dalla Suprema Corte in ordine al riconoscimento dell’ assegno divorzile, già approfondito con il precedente articolo pubblicato in data 2.11.2017 dal titolo “divorzio: l’ assegno nella sua evoluzione giurisprudenziale” trova conferma e concreta applicazione anche nella giurisprudenza di merito. Infatti, la recente pronuncia della Corte d’Appello di Milano, chiamata a dirimere una lunga ed estenuante battaglia legale tra Veronica Lario (al secolo Miriam Bartolini) e Silvio Berlusconi, ha deciso la revoca dell’ assegno divorzile disposto dai giudici di primo grado a far tempo dalla mensilità successiva alla pubblicazione della sentenza di scioglimento del matrimonio e quindi da marzo 2014. Facendo i calcoli, in base alla sentenza d’appello, Veronica sulla carta dovrebbe restituire all’ex marito poco più di 60 milioni di euro che, al netto di compensazioni a fronte di altre vicende giudiziarie, si ridurrebbero a circa 43 milioni di euro.
La decisione della Corte d’Appello di Milano, che riforma la sentenza del Tribunale di Monza, fonda sui seguenti motivi:
- Autosufficienza economica del coniuge dopo il divorzio da Silvio Berlusconi;
- Erroneo convincimento dell’inadeguatezza dei mezzi della Sig.ra Veronica Lario, riconosciuta titolare dei soli proventi della società immobiliare Il Poggio S.r.l. ritenuti appena sufficienti a fronteggiare il prelievo fiscale;
- Abilità all’attività lavorativa di Veronica Lario;
- Disponibilità di ingente patrimonio e percepimento di significativi flussi reddituali.
I Giudici di Milano in linea con l’orientamento espresso dalla Suprema Corte hanno rilevato che:
“la sentenza del Tribunale di Monza impugnata è erronea nella parte in cui ha costituito l’obbligazione di mantenimento ritenendo genericamente inadeguati i mezzi della signora Bartolini, riconosciuta titolare dei soli proventi della società immobiliare il Poggio s.r.l., che sarebbero appena sufficienti a fronteggiare il prelievo fiscale. Le disponibilità dell’appellata sono in realtà enormemente maggiori”;
“il pagamento, da parte di Silvio Berlusconi, di una somma complessiva di oltre 110 milioni di euro costituisce nei fatti un indebito trasferimento di ricchezza, non consentito dall’ordinamento; inoltre una disponibilità così ingente di liquidità, accumulata in un arco temporale estremamente contenuto, ha consentito alla signora Bartolini una ulteriore produzione di ricchezza mediante patrimonializzazione della misura non consumata”;
“Miriam Bartolini svolge, di fatto, l’attività di imprenditrice immobiliare per il tramite della società il Poggio s.r.l. e, in ogni caso, è abile allo svolgimento di attività lavorativa; peraltro dispone di fonti reddituali non lavorative ma di provenienza finanziaria. Ella pertanto amministra la propria ricchezza con conseguente percepimento di rendite finanziarie e di posizione, avendone le capacità”;
“le consistenti disponibilità patrimoniali della donna al momento della separazione consistono, tra le altre cose, anche in gioielli di valore pari a decine di milioni di euro, oltre a una liquidità per oltre 16 milioni di euro, una villa a S. Chanf del valore di diversi milioni di euro fiduciariamente intestata alla madre e al patrimonio immobiliare di proprietà ‘Il Poggio srl’ pari a circa 80 milioni di euro”;
“Veronica Lario, al secolo Miriam Bartolini, può contare su un cospicuo patrimonio, oltretutto costituitole integralmente dal marito, nel corso del quasi ventennale matrimonio, somme di denaro che la stessa ex first lady ha quantificato in 104.418.000 lordi”;
“l’attuale condizione non solo di autosufficienza, ma di benessere economico della signora Bartolini, tale da consentirle un tenore di vita elevatissimo, comporta il venir meno del diritto a percepire un assegno divorzile”;
“la signora Bartolini ha inoltre la capacità di produrre reddito, sia per le ingenti somme di denaro che l’ex marito le ha corrisposto sia perché possiede numerosi beni immobili di notevole valore commerciale”.
La sentenza della Corte d’Appello di Milano (n. 4793/2017 R.G. n. 195/2016) si è uniformata a quanto statuito dalla sentenza della prima sezione civile della Suprema Corte n. 11504 del 10.2.2017, depositata il 10.5.2017, seguita da altra conforme sentenza della Cassazione, la numero 15481 del 29.5-22.6.2017,
(e alle quali aderisce anche la sentenza 12196/17). Il trittico di sentenze ha mutato il pregresso orientamento interpretativo della norma in questione, affermando i seguenti principi di diritto:
- il diritto all’assegno di divorzio di cui all’art. 5, legge 1 dicembre 1970, n. 898 e successive mm. e ii. è condizionato dal suo previo riconoscimento in base a una verifica giudiziale che si articola necessariamente in due fasi, tra loro nettamente distinte e poste in ordine progressivo dalla norma:
una prima fase, concernente l’an debeatur, il cui oggetto è costituito esclusivamente dall’accertamento volto al riconoscimento o meno del diritto all’ assegno divorzile fatto valere dall’ex coniuge richiedente;
una seconda fase, riguardante il quantum debeatur improntata al principio della solidarietà economica dell’ex coniuge obbligato alla prestazione dell’ assegno nei confronti dell’altro quale persona economicamente più debole (art. 2 in relazione all’art. 23 Cost.) che investe soltanto la determinazione dell’importo dell’assegno stesso.
- Nella fase dell’an debeatur occorre verificare se la domanda dell’ex coniuge richiedente l’ assegno soddisfi le condizioni di legge (mancanza di mezzi adeguati o comunque impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive) non con riguardo a un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, ma con esclusivo riferimento all’indipendenza o autosufficienza economica, desunta dai principali indici – salvo altri rilevanti nelle singole fattispecie – del possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu imposti e del costo della vita nel luogo di residenza dell’ex coniuge richiedente), delle capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all’età, al sesso e al mercato del lavoro dipendente o autonomo), della stabile disponibilità di una casa di abitazione; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte dal richiedente medesimo, sul quale incombe il corrispondente onere probatorio, fermo il diritto all’eccezione ed alla prova contraria dell’altro ex coniuge.
- Superata positivamente la prima valutazione, nella fase del quantum debeatur, il giudice deve tenere conto di tutti gli elementi indicati dal comma 6 dell’art. 5 al fine di determinare in concreto la misura dell’assegno di divorzio; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte, secondo i normali canoni che disciplinano l’onere della prova.
La giurisprudenza di merito ha ridisegnato via via i presupposti dell’assegno divorzile, restringendo e delimitando i confini di un concetto astratto – quello del tenore di vita – che, avulso dall’impianto normativo, che non lo prevede, rischia di ancorare le decisioni a un modello tradizionale di matrimonio e dei rapporti personali e patrimoniali tra ex coniugi ormai superato.
Se con il divorzio si torna ad essere individui singoli, con diversi e nuovi progetti di vita e liberi di formare una nuova famiglia, il principio solidaristico, che sta alla base del riconoscimento dell’assegno divorzile, richiede che la condizione di debolezza e le effettive necessità economiche siano provate da chi ritenga di avere diritto al riconoscimento dell’ assegno divorzile medesimo, fermo restando il principio di autoresponsabilità economica, ma anche il diritto di tutti di condurre una vita non solo libera dal bisogno, ma dignitosa. Certamente il riferimento alla indipendenza o autosufficienza economica appare un parametro a sua volta relativo, che andrà pertanto ancorato a diversi indici che saranno soprattutto i casi concreti a suggerire.
Mutano, peraltro, l’angolo visuale e la prospettiva, con la conseguenza che l’attenzione dovrà anzitutto rivolgersi alla posizione dell’ex coniuge debole richiedente l’ assegno, alle sue effettive condizioni di vita, ai suoi progetti come singolo individuo, alla sua età e alle sue condizioni di salute e altro, valutando la natura e qualità della sua posizione debole.