Diritto di abitazione del convivente in caso di decesso dell’altro.
La L. n. 76/2016 che disciplina le convivenze e regolamenta le unioni civili stabilisce che la convivenza è giuridicamente rilevante laddove essa si instauri tra due persone:
- maggiorenni (dello stesso sesso o di sesso diverso);
- unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale;
- coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune (ai sensi dell’art. 4 d.p.r. 223/1989);
- tra loro non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.
La convivenza non richiede una formalizzazione (come accade per le unioni civili), ma deve essere accertata e il primo criterio per rilevarla è quello di verificare la sussistenza della famiglia anagrafica di cui all’art. 4 del d.p.r. 223/1989, ovvero di una coabitazione risultante da un certificato di stato di famiglia.
E’ opportuno esaminare come vengono tutelati e limitati i diritti di abitazione di un convivente in caso di decesso dell’altro.
In generale i diritti sulla casa di abitazione riconoscono al convivente superstite la qualifica di detentore qualificato (Trib. Milano 8 gennaio 2003) ed estendono al convivente il diritto di subentrare nel contratto di locazione in caso di morte del conduttore (ma non anche in caso di semplice cessazione della convivenza).
La nuova normativa prevede – fatto salvo quanto previsto dall’articolo 337-sexies c.c. per l’assegnazione della casa familiare, applicabile in presenza di figli minori anche ai conviventi, – che in caso di morte del convivente, proprietario della casa di comune residenza, il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni (che diventano tre anni ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite) o per un periodo pari alla convivenza, se superiore, e comunque non oltre i cinque anni. Il diritto viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza ovvero contragga matrimonio, unione civile o intraprenda una nuova convivenza di fatto.
Il diritto di abitazione subisce una restrizione quando la convivente more uxorio si trova di fronte al diritto a succedere della moglie separata e della figlia del compagno deceduto.
In questo caso la convivente more uxorio deve lasciare l’appartamento agli aventi diritto. La legge Cirinnà le consente di occupare la casa familiare per il tempo necessario a trovare una nuova sistemazione, ma non oltre cinque anni. Tale periodo varia in proporzione alla durata della convivenza e altri parametri, come la presenza di figli minori o disabili.
La sentenza della Cassazione, III Sezione Civile, n. 10377/2017 ha rigettato il ricorso proposto dalla convivente, condannando quest’ultima al rilascio dell’immobile, detenuto sine titulo, a favore della moglie e della figlia del suo convivente separato.
Sebbene gli Ermellini abbiano riconosciuto la detenzione qualificata del convivente, hanno concluso che la stessa è opponibile ai terzi soltanto quando permanga il titolo da cui deriva posto che, in caso di decesso del convivente, la donna non poteva esercitare né la proprietà né il possesso, dunque, con il decesso del convivente si era estinto anche il diritto alla detenzione qualificata sull’immobile.
La compagna superstite avrebbe conservato la relazione con il bene solo se fosse stata istituita coerede o legataria dell’immobile a seguito della disposizione testamentaria o a seguito della costituzione di un nuovo e diverso titolo da parte degli eredi del convivente proprietario.
La convivenza di fatto non è così rilevante da incidere addirittura sull’esercizio dei diritti spettanti ai terzi sul bene immobile.
Nel caso di specie la Cassazione ha statuito che non era applicabile, ratione temporis, per omessa individuazione del fatto storico, neanche la norma dell’art. 1, comma 42, della legge 20 maggio 2016 n. 76 che conferisce al convivente superstite un diritto di abitazione temporaneo (non oltre i cinque anni) modulato diversamente in relazione alla durata della convivenza e alla presenza di figli minori o disabili.