La recente normativa sulla negoziazione assistita e sulla mediazione ha dato una nuova impostazione all’attività dell’avvocato, che deve “assistere” (non “rappresentare”) il cliente all’interno di sistemi che non prevedono né vincitori né vinti. Tali sistemi sono imperniati sulla partecipazione diretta del cliente e non sulla sua sostituzione “in luogo e vece”, ed hanno come scopo l’effettiva soddisfazione degli interessi delle parti e non il formale trionfo dei diritti di uno di loro, non escluso qualche sacrificio da ambo le parti, anche in termini di pace e convivenza sociale.
Il ruolo dell’avvocato non è diventato meno importante; anzi, le recenti leggi (da ultimo, il D.L. n. 132/2014, conv. in L. n. 162/2014) hanno dato un particolare rilievo all’assistenza dell’avvocato nel negoziato: se il negoziato o la mediazione si conclude con un accordo firmato sia dalle parti sia dai loro avvocati, l’accordo ha la forza e l’effetto di un titolo esecutivo.
Quando il cliente si rivolge all’avvocato per sottoporgli un problema litigioso ha già sperimentato, o deciso, che da solo non riesce a risolverlo. In tale occasione l’avvocato ha ora la possibilità di proporre al cliente una negoziazione assistita, cioè un negoziato che non lasci solo l’avvocato a gestire la controversia, ma che mantenga il coinvolgimento e addirittura la presenza del cliente durante tutta la trattativa.
Il primo compito dell’avvocato è dunque chiarire a se stesso, e spiegare poi al cliente, perché la negoziazione assistita sia da percorrere nel caso sottopostogli.
Innanzitutto vi sono dei casi in cui la legge ha reso obbligatorio almeno il tentativo di ricorrervi. La legge prevede infatti che in alcuni casi la negoziazione assistita, o almeno l’invito a svolgerla, sia una condizione di procedibilità della causa relativa alla controversia in questione. Si tratta delle controversie elencate, direttamente o per riferimento, dall’art. 3 del D.L. n. 132/2014, e cioè:
- Risarcimento del danno da circolazione da veicoli e natanti, di qualunque valore.
- Domanda di pagamento di somme non eccedenti € 50.000, sempre che non riguardino i casi precedenti o quelli previsti dall’art. 5, co. 1-bis, del D.Lgs. n. 28/2010 (la legge sulla mediazione), vale a dire controversie in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di azienda, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica o sanitaria, diffamazione a mezzo stampa o altro mezzo di pubblicità o contratti assicurativi, bancari e finanziari.
Sono inoltre escluse dall’obbligatorietà le controversie su obbligazioni contrattuali derivanti da contratti conclusi tra professionisti e consumatori.
È evidente che la legge vuole innanzitutto sollecitare le parti a cercare di risolvere con un accordo negoziato le controversie di modesto valore. Quanto alle controversie su danni da circolazione di veicoli, il tentativo di ridurle inviandole in mediazione, originariamente tentato con il D.Lgs. n. 28/2010 si è rivelato fallimentare ed evidentemente il legislatore spera di aver maggior successo con la negoziazione assistita. In ogni caso, niente è cambiato relativamente all’obbligatorietà del cosiddetto primo incontro programmatico di mediazione, di cui all’elenco di controversie sopra ricordato. Il tentativo di negoziazione assistita non varrà dunque a soddisfare la condizione di procedibilità prevista per quei casi. Naturalmente, se le parti raggiungeranno l’accordo con la negoziazione assistita, non affronteranno il giudizio ordinario.
Se invece la negoziazione assistita avrà esito negativo, potranno ben procedere a tentare la mediazione.
Condizione di procedibilità
Per soddisfare la condizione di procedibilità non è necessario condurre in effetti un negoziato. La legge richiede solo che la parte che vuole fare una causa nei casi sopra elencati, inviti l’altra o le altre parti a stipulare una convenzione per svolgere la negoziazione assistita. Se l’altra parte non risponde o rifiuta entro un breve termine, la condizione di procedibilità si considera soddisfatta.
Non si tratta quindi di norme che mirano alla tutela della correttezza procedurale, del contraddittorio o di altro importante principio processuale. La norma, nella lettera e nello spirito, vuole che le parti e il giudice considerino seriamente e nel caso concreto se la controversia meriti di essere decisa con un negoziato o, al contrario, che non possa essere decisa se non da un giudice.
Non sarebbe dunque un corretto comportamento processuale rilevare la mancanza di invito alla negoziazione assistita ai soli fini formali, senza seriamente ritenere, la parte convenuta o il giudice, che il negoziato possa essere utilmente condotto. Un rinvio inutile non farebbe che allungare i tempi della giustizia, contraddicendo allo scopo di queste norme, che mirano a permettere alle parti di trovare rapidamente e di comune accordo una soluzione alla loro controversia, senza sopportare i costi, tempi e rischi di un giudizio.
Questo è il motivo per cui il rifiuto del negoziato può essere valutato dal giudice ai fini delle spese di giudizio e di quanto previsto dal codice di procedura civile agli artt. 96 (lite temeraria) e 642, co. 1 (esecuzione provvisoria). Queste possibili sanzioni puniscono proprio la parte soccombente che abbia ritardato inutilmente ed in mala fede la soluzione della controversia.
Negoziazione assistita facoltativa
Con il D.L. 132/2014 convertito in legge con modifiche il 10 novembre 2014 dalla legge n. 162, nell’ambito del riassetto del processo civile e per la riduzione dell’arretrato giudiziario, la coppia che consensualmente vuole separarsi o divorziare non dovrà necessariamente rivolgersi al giudice, ma avrà la possibilità di scegliere tre strade. Presentare un ricorso congiunto al Tribunale e ottenere l’omologa della separazione, la sentenza che pronuncia lo scioglimento del matrimonio o la cessazione dei suoi effetti civili, oppure scegliere tra due nuove opzioni, che riducono notevolmente i tempi della procedura: la negoziazione assistita da avvocati (art. 6, D.L. 132/2014) e la conclusione di un accordo presso l’ufficio dello Stato Civile, in presenza di determinate condizioni (art. 12).
Il fine della norma è di stimolare le parti al raggiungimento di una soluzione di separazione personale, cessazione degli effetti civili del matrimonio o scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o divorzio, senza adire l’autorità giudiziaria, affidando, da una parte il ruolo di negoziatore all’avvocato, dall’altra, in presenza di situazioni che non riguardino soggetti deboli da tutelare, come ad esempio i figli minori, coinvolgendo direttamente l’Ufficio Comunale.
Negoziazione assistita per le soluzioni consensuali di separazione e divorzio.
La riforma ha lasciato aperte ampie zone di dubbia interpretazione che non sono state colmate dalle circolari del Ministero dell’Interno rilasciate fino a questo momento. Per l’Avvocatura, il Consiglio Nazionale forense ha pubblicato un dossier con un primo commento al Decreto Legge il 13 novembre 2014, ma a seguito delle modifiche introdotte in sede di conversione, nessuna indicazione pratica è stata fornita, in particolare sui nuovi adempimenti di cui è gravato il professionista.
In base a quanto disposto già in sede di decreto legge, il procedimento di negoziazione assistita da avvocati, ha inizio con la sottoscrizione di una convenzione o con l’invito alla negoziazione assistita, secondo quanto stabilito negli articoli 2, 3 e 4 della legge.
L’invito alla negoziazione è una sollecitazione a stipulare la convenzione di negoziazione assistita indicando l’oggetto della controversia e l’avvertimento che la mancata risposta entro trenta giorni o il suo rifiuto, può essere valutato dal giudice al fine delle spese di un eventuale giudizio. Secondo una prima interpretazione fornita dal CNF, ai procedimenti separativi si applicherebbe il riferimento all’invito a negoziazione ma senza l’avvertimento circa le conseguenze della mancata risposta (art. 4).
E’ importante sottolineare che quando l’avvocato riceve l’incarico dal cliente è dovere deontologico informarlo della possibilità di avvalersi della procedura di negoziazione assistita.
La convenzione è definita dalla legge un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere una controversia (art. 2), deve essere redatta in forma scritta a pena di nullità e deve contenere la previsione di un termine non inferiore a trenta giorni e non superiore a tre mesi – prorogabile su accordo delle parti di altri trenta giorni – entro il quale concludere o meno l’accordo. Oggetto della convenzione possono essere solo diritti disponibili. L’avvocato certifica l’autografia delle firme delle parti che partecipano alla convenzione così come pure la data nella quale sono state apposte, ai fini della decorrenza dei termini entro il quale giungere all’accordo.
Con la conversione in legge del Decreto, sono state introdotte rilevanti modifiche rispetto alla prima versione dell’art. 6. Il testo originario parlava di assistenza di un avvocato, mentre attualmente per avviare la procedura di negoziazione assistita è necessario un avvocato per ogni parte. Inoltre, l’accordo sottoscritto a seguito della negoziazione, doveva semplicemente essere inviato all’Ufficiale dello Stato Civile del Comune in cui il matrimonio era stato iscritto o trascritto.
La legge di conversione ha introdotto il passaggio obbligatorio dell’accordo alla Procura della Repubblica presso il Tribunale.
Quanto ai requisiti necessari per la soluzione consensuale di separazione e divorzio mediante negoziazione assistita, dopo la modifica introdotta in sede di conversione, anche i coniugi con prole minorenne, maggiorenne non autosufficiente, incapace o con handicap grave, possono accedere alla procedura.
Grava sul professionista l’onere di accertare la sussistenza dei requisiti e pertanto è opportuno inserire nelle premesse della convenzione, la dichiarazione secondo cui le parti affermano sotto la propria responsabilità, di trovarsi nelle condizioni che consentono di avvalersi della negoziazione assistita.
Dopo la redazione della convenzione, si procede alla stesura dell’accordo che contiene le condizioni di separazione e divorzio, siano esse riguardanti l’affidamento o il mantenimento dei figli, l’assegno di mantenimento per il coniuge o i trasferimenti di tipo patrimoniale nell’ambito delle soluzioni alla crisi coniugale.
In questa fase di redazione dell’accordo, sono rilevanti i compiti e le funzioni attribuite all’avvocato, il cui ruolo consiste nel tutelare i diritti dei coniugi anche al di fuori di un procedimento giurisdizionale che si svolge innanzi a un giudice. Nella procedura egli non è semplicemente l’avvocato della parte ma deve favorire la conciliazione tra i coniugi. Sono, infatti, attribuite al professionista, funzioni proprie del negoziatore o, facendo una similitudine, del giudice all’udienza presidenziale di separazione o divorzio.
L’avvocato deve, infatti, avvisare le parti della possibilità di esperire la mediazione familiare e deve tentare la conciliazione tra i coniugi. In caso di figli minori, egli deve ricordare alle parti l’importanza che i figli trascorrano tempi adeguati con entrambi i genitori. Di queste attività deve essere dato atto nel testo dell’accordo redatto a seguito della negoziazione.
Infine, l’avvocato deve dichiarare sotto la propria responsabilità che gli accordi non sono contrari a norme imperative di legge e all’ordine pubblico, ossia che non siano presenti condizioni che ledano diritti considerati indisponibili.
La non contrarietà alle norme imperative di legge e all’ordine pubblico può presentare confini incerti in quanto i concetti sono in continuo divenire e la giurisprudenza sta ampliando notevolmente il concetto di autonomia contrattuale delle parti.
Al momento la giurisprudenza della Cassazione è concorde nel ritenere alcuni diritti di ordine patrimoniale indisponibili e intoccabili. Sono ritenuti invalidi, ad esempio, gli accordi economici che abbiano a oggetto la rinuncia a un futuro diritto o la limitazione della libertà processuale delle parti – ossia la rinuncia al futuro assegno di divorzio o alla revisione dell’assegno – per il motivo che avrebbero una causa illecita. Gli accordi possono comunque contenere previsioni di assegno di mantenimento, di soluzioni una tantum, di trasferimenti immobiliari in luogo del mantenimento ecc.. Ciò che conta è l’applicazione del principio secondo cui mutate le circostanze di fatto e di diritto, il coniuge possa sempre ottenere tutela in sede di modifica delle condizioni di separazione, o in sede di divorzio.
La legge ha inoltre introdotto il successivo controllo ad opera del P.M. che dovrebbe rafforzare la posizione del coniuge debole e della prole.
Infatti, una volta stilato l’accordo raggiunto a seguito della negoziazione, il procedimento si diversifica qualora la coppia abbia figli minori, maggiorenni non autosufficienti, portatori di handicap o incapaci.
L’Accordo deve essere inviato al Procuratore della Repubblica presso il tribunale competente, ma il percorso può cambiare.
Il comma 2 dell’art. 6 prevede che per le coppie senza figli, l’avvocato ha l’onere di inviare l’accordo sottoscritto al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente. Non è stabilito un termine entro il quale trasmettere l’atto.
La legge non specifica se debba essere inviata unitamente all’accordo anche la convenzione, quali siano le modalità di invio e come si determini la competenza della Procura.
Di recente la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, con documento datato 16 dicembre 2014, ha specificato alcune linee guida per gli adempimenti previsti dall’art. 6 della legge 162/2014.
Riguardo alla documentazione che deve corredare l’accordo, è necessario allegare sempre l’estratto per riassunto dell’atto di matrimonio, il certificato di residenza dei coniugi e lo stato di famiglia. Per il divorzio occorre, ovviamente, anche la sentenza o il decreto di omologa della separazione. Per la modifica delle condizioni di separazione o divorzio l’accordo deve essere corredato dalle copie autentiche dei provvedimenti contenenti gli accordi precedenti (provvedimenti giudiziari o accordi sottoscritti mediante negoziazione assistita o di fronte all’Ufficiale dello Stato Civile).
Un’altra importante specifica riguarda la documentazione fiscale. Nel silenzio della legge, il Tribunale di Milano ha ritenuto essenziale l’allegazione delle dichiarazioni dei redditi relativi agli ultimi tre anni – in parallelo con la normativa sulla separazione e divorzio – ma solo nel caso in cui siano presenti figli minorenni, maggiorenni non autosufficienti, portatori di handicap grave o incapaci.
Da ciò si deduce che il controllo sull’accordo di mantenimento del solo coniuge non sarà oggetto di valutazione economica.
Ulteriore dubbio interpretativo riguarda l’incapacità dei figli maggiorenni. Secondo la circolare ministeriale n. 19 del 28 novembre 2014, rilevano le sole incapacità dichiarate, quali l’interdizione, l’inabilitazione e l’amministrazione di sostegno, con esclusione quindi delle incapacità naturali.
Pertanto nei casi di figli portatori di handicap gravi ai sensi della legge n. 104/1992 art. 3, e di figli incapaci dichiarati, all’accordo deve essere allegata la relativa documentazione.
Quanto alla competenza territoriale, secondo il Tribunale di Milano, per le separazioni è territorialmente competente la procura in cui i coniugi hanno avuto l’ultima residenza comune, in caso di divorzio quella in cui almeno uno dei due coniugi ha la residenza, e in caso di modifica delle condizioni di separazione e divorzio, quella del luogo di residenza del beneficiario dell’obbligazione.
Il controllo della procura si limita alla “regolarità” nel caso di coppia coniugata senza figli minori o incapaci o non economicamente autosufficienti. Il Tribunale appone sull’accordo il nullaosta del P.M.. Nell’altro caso, la disposizione di legge prevede che l’accordo debba essere inviato alla Procura entro il termine di dieci giorni. Il P.M. lo autorizza se le condizioni sono rispondenti all’interesse dei figli, o in caso contrario lo trasmette al Presidente del Tribunale che fisserà, entro i successivi trenta giorni, un’udienza per la comparizione delle parti.
Una volta ottenuto il nullaosta o l’autorizzazione, nella fase conclusiva della procedura, l’avvocato è gravato di una particolare responsabilità, in quanto deve trasmettere entro il termine di dieci giorni, all’Ufficiale dello stato civile, copia autenticata dallo stesso, dell’accordo munito delle certificazioni di cui all’art. 5.
Non è chiaro da quale data decorrano i dieci giorni, ma si ritiene che il termine cominci a correre dal momento in cui l’avvocato ha ritirato l’atto con il nullaosta o l’autorizzazione dalla Procura. La conseguenza di un eventuale ritardo o omissione comporta per l’avvocato l’applicazione di sanzioni pecuniarie gravi, da euro 2.000 a euro 10.000, che saranno irrogate dal Comune ricevente l’atto.
In base alla circolare n. 19 del 28 novembre 2014, l’Ufficiale dello stato civile dovrà ricevere da ciascuno dei due avvocati l’accordo autorizzato, e sanzionare il professionista che sia reso inadempiente.
In fase di ricezione ogni Comune sta adottando prassi diverse anche secondo il grado d’informatizzazione degli uffici.
L’accordo deve essere trascritto a cura dell’ufficiale dello stato civile ai sensi dell’art. 63 d.p.r. 396/2000, e annotato sia negli atti di nascita dei coniugi sia nell’atto di matrimonio.
L’accordo raggiunto a seguito della convenzione – dice il comma 3 dell’art. 6 – produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali di separazione, divorzio e modifica delle condizioni di questi. Dalla data certificata nell’accordo di separazione concluso a seguito di negoziazione assistita, decorre il termine di tre anni per la domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, come espressamente previsto dal novellato art. 3 della Legge n. 898/1970.
A norma dell’art. 11 della legge 162/2014, i difensori che hanno sottoscritto l’accordo raggiunto a seguito di negoziazione assistita devono trasmettere copia al Consiglio dell’Ordine ai fini del monitoraggio delle procedure e per la trasmissione dei dati al Ministero della giustizia.
Separazione consensuale e divorzio congiunto innanzi all’ufficiale dello stato civile.
La terza strada prevista dal legislatore è quella più rapida ma è preclusa alle coppie con figli minori, maggiorenni non autosufficienti, portatori di handicap o incapaci (art. 12).
I coniugi possono recarsi presso il Comune di residenza di uno degli sposi o il comune in cui il matrimonio è stato iscritto o trascritto e, innanzi al Sindaco quale ufficiale dello stato civile, concludere un accordo di separazione o di divorzio alle condizioni da loro stessi concordate. La stessa cosa può avvenire per la modifica delle precedenti condizioni di separazione e divorzio. Tutto ciò, personalmente o con l’assistenza facoltativa di un avvocato.
L’accordo non può contenere, stabilisce il 2° comma dell’art. 12, patti di trasferimento patrimoniali.
Il divieto costituisce un’ulteriore limitazione di accesso alla procedura e non è chiaro se il termine trasferimento patrimoniale debba essere comprensivo di ogni scambio economico-patrimoniale. Inteso nell’accezione più ampia, ciò limiterebbe ulteriormente le ipotesi ai casi in cui non ci sia neppure una previsione di assegno di mantenimento per il coniuge più debole. Il fatto che si parli di trasferimenti, farebbe pensare che non ci si riferisca all’assegno di mantenimento, il quale non è definibile come patto di trasferimento ma è espressione del più generale dovere di mantenimento (art. 143 c.c.).
Tuttavia la sopra citata circolare del Ministero dell’Interno n. 19/2014, ha specificato che la ratio della previsione è di escludere qualunque valutazione di natura economica o finanziaria nella redazione dell’atto di competenza dell’ufficiale giudiziario. Al momento, in assenza di specifiche indicazioni normative, i Comuni non accetteranno accordi con clausole aventi carattere dispositivo sul piano patrimoniale, come ad esempio l’uso della casa coniugale, l’assegno di mantenimento e qualunque altra utilità economica tra i coniugi.
Quanto all’iter procedurale, l’ufficiale riceve da ciascuna delle parti personalmente la dichiarazione di volontà di separarsi o divorziare alle condizioni concordate. L’assistenza facoltativa dell’avvocato non riguarda la sostituzione della parte assistita che fa la dichiarazione, la quale compare personalmente, ma dell’assistenza di un legale si da atto nel documento che sarà sottoscritto anche dal legale.
I coniugi dichiarano all’ufficiale del Comune di non trovarsi nelle condizioni di esclusione della procedura e nello stesso atto sono invitati a comparire nuovamente davanti all’ufficiale per la conferma dell’accordo, per una data successiva non inferiore a trenta giorni. In questo periodo l’Ufficio svolgerà i controlli sulle dichiarazioni rese dagli interessati.
La mancata comparizione equivale a mancata conferma dell’accordo. In caso di successiva comparizione, l’ufficiale redige la conferma dell’accordo di separazione o divorzio.
Anche l’accordo concluso innanzi all’Ufficiale dello stato civile produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali di separazione o divorzio. Il comma 4, nel modificare la legge 10.12.1970, n. 898, prevede che i tre anni di separazione legale necessari per richiedere una sentenza di divorzio decorrano dalla data dell’atto contenente l’accordo e non quella della conferma, secondo quanto specificato dalla circolare 19/2014. Tale data e non quella della conferma dovrà essere riportata nelle annotazioni ed indicata nella scheda anagrafica individuale degli interessati.
Il comma 6 stabilisce che l’ufficiale dello stato civile, al momento della sottoscrizione dell’atto contenente la conclusione dell’accordo, deve esigere il diritto fisso non superiore ad € 16,00, importo corrispondente all’imposta fissa di bollo, prevista per la pubblicazione di matrimonio ai sensi del DPR 26.10.1972, n. 642.
L’Ufficio dello stato civile, dopo la conferma dell’atto da parte degli interessati, è tenuto a comunicare l’avvenuta iscrizione dello stesso alla cancelleria presso la quale sia eventualmente iscritta la causa concernente la separazione od il divorzio, ovvero quella del giudice davanti al quale furono stabilite le condizioni di divorzio o di separazione oggetto di modifica. A tali fini l’ufficiale acquisirà dalle parti ogni informazione necessaria per individuare esattamente la cancelleria competente a ricevere la descritta comunicazione.
Si è molto discusso di questa terza opportunità per i coniugi poiché almeno potenzialmente, visto che la presenza di un legale è solo facoltativa, il rischio di accordi ingiusti o lesivi dei diritti di una parte, è possibile, poiché non è previsto il vaglio del P.M. e l’Ufficiale dello Stato civile non ha alcuna funzione di controllo riguardo al merito dell’accordo.