L’Agenzia delle entrate sta inviando migliaia di lettere contenenti avvisi bonari/comunicazioni di irregolarità relative a partite IVA dormienti ed inattive. Destinatari sono i titolari di partite IVA non operative da tantissimi anni ma ancora formalmente aperte nell’anagrafe tributaria.
La violazione che viene contestata è l’omessa comunicazione di chiusura dell’attività con conseguente irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria nella misura minima di € 516,00, salvo che non si provveda ad effettuare il pagamento entro 30 giorni nel qual caso la sanzione da versare sarà pari ad euro 172,00 (un terzo del minimo). La sanzione prevista deve essere versata tramite modello F24 e codice tributo 8120 così come disposto dall’Agenzia delle Entrate tramite la risoluzione 35/E del 3 aprile 2014.
Intanto, gli importi richiesti non sono conformi all’ordinamento vigente atteso che, con l’entrata in vigore dal 1° gennaio 2016 della nuova normativa sulle sanzioni tributarie di cui al Decreto Legislativo 158/2015, la sanzione corretta è pari ad euro 500, salvo che non si provveda ad effettuare il pagamento entro 30 giorni: in questo caso la sanzione da versare sarà pari ad euro 167,67 (un terzo del minimo).
Si tratta, quindi, di un clamorosa svista della Direzione Centrale Tecnologie e Innovazione dell’Agenzia delle Entrate, mittente delle comunicazioni a mezzo raccomandata inoltrate ai contribuenti. Ma c’è di più: gli avvisi riguardanti le contestazioni di irregolarità relative a partite IVA dormienti o inattive, derivanti dall’omissione degli obblighi di cui all’art. 35 d.P.R. 633/72 (dichiarazione di inizio, variazione e cessazione dell’attività), oltre a riportare inesattezze nella determinazione degli importi richiesti a titolo di sanzione pecuniaria amministrativa, sono giuridicamente infondati per effetto della novità introdotta dal decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193 (convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225, recante “Disposizioni in materia di semplificazione fiscale”) che ha decretato la cancellazione della pena pecuniaria (da 500 a 2000 Euro) prima inflitta a chi, entro 30 giorni dal verificarsi dell’evento, non comunicava al Fisco la chiusura della partita IVA attraverso lo specifico modello AA9 (persone fisiche) o AA7 (persone giuridiche). Infatti l’art. 7 – quater del decreto-legge 22 ottobre 2016, n.193, al comma 45, nell’apportare modifiche all’art. 5, comma 6, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, non prevede l’applicazione della sanzione per la mancata presentazione della dichiarazione di cessazione attività ai fini IVA. Conseguentemente l’Agenzia delle Entrate, con risoluzione n. 7/E del 19 gennaio 2017 ha soppresso il codice tributo 8120, istituito con la risoluzione 35/E del 3 aprile 2014.
Il medesimo art. 7-quater del decreto-legge n. 193/2016, al comma 44 ha apportato modifiche all’art. 35, comma 15-quinquies, del d.P.R. n. 633/1972, prevedendo che “l’Agenzia delle Entrate procede d’ufficio alla chiusura delle partite IVA dei soggetti che, sulla base dei dati e degli elementi in suo possesso, risultano non aver esercitato nelle tre annualità precedenti attività d’impresa ovvero artistiche e professionali. Sono fatti salvi i poteri di controllo e accertamento dell’amministrazione finanziaria. Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate sono stabiliti i criteri e le modalità di applicazione del presente comma, prevedendo forme di comunicazione preventiva al contribuente)”.
Pertanto, pur permanendo l’obbligo di segnalare la cessazione dell’attività, il suo mancato assolvimento non comporta più l’applicazione di sanzioni. E’ ora previsto che l’Agenzia delle entrate, sulla base delle informazioni in suo possesso, chiuda d’ufficio la posizione dei contribuenti cronicamente inattivi ossia di coloro che, pur in possesso della partita IVA risultano non aver effettuato operazioni nell’ambito dell’attività d’impresa, professionale o artistica nelle tre annualità precedenti. L’amministrazione finanziaria, però, prima di chiudere d’imperio la partita IVA, dovrà allertare il diretto interessato.
La soppressione della sanzione vale non solo per irregolarità commesse a partire dal 3 dicembre 2016 (data di entrata in vigore della legge 1° dicembre 2016, n. 225) ma, in base al principio della abolitio criminis, anche per tutte quelle compiute precedentemente. Qualora i pagamenti delle sanzioni siano già stati eseguiti a fronte di provvedimenti divenuti definitivi, non è ammessa la restituzione delle somme pagate.
Il contribuente raggiunto dagli avvisi in questione potrà difendersi invocando la normativa vigente o, persino la prescrizione nel caso di contestazioni riguardanti attività chiuse da oltre un quinquennio. In quest’ultimo caso il contribuente deve recarsi tempestivamente (e possibilmente entro i 30 giorni dalla notifica della comunicazione) presso gli uffici dell’Agenzia delle entrate e consegnare tutta la documentazione disponibile che accerti l’avvenuta chiusura della partita IVA ovvero la cessazione dell’attività prima del precedente quinquennio, termine oltre il quale l’amministrazione finanziaria non può più pretendere le sanzioni dal contribuente.